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sabato 27 dicembre 2014

APPUNTI PROMESSI SPOSI CAPITOLI 9 E 10

CAPITOLO 9

Si continua con la vita di Gertrude che, nell’adolescenza viene portata in un convento per essere istruita (i nobili mandavano le figlie a studiare nei conventi). Là, incontrando alcune coetanee, scopre che lei non ha più quell’aria di dominazione che aveva in famiglia, ma al contrario era un po’ sottomessa, messa al di sotto delle altre ragazze. Gertrude pensa quindi che, siccome nel convento si deve far monaca con il suo consenso, basta con non acconsenti (dato che lei non voleva andarci). Ma non sarà così. La fede però poteva essere un aiuto per Gertrude, ma per come le era stato insegnato (ovvero avere dei privilegi nella vita terrena) non poteva essere il suo vero aiuto.
Gertrude, di conseguenza, scrive una lettera al padre, ma questa lettera è molto sincera e inopportuna.  Questa lettera poi la prenderà la badante del convento, che la consegnerà al padre. Gertrude viene quindi mandata a casa, sentendosi nella più completa solitudine e freddezza. È il momento più tragico della sua vita (in questo passo, si scopre la conoscenza di Manzoni della psicologia umana). Il principe (il padre) legge la lettera e si arrabbia molto con la figlia: quest’ultima si sente in colpa e vive i successivi 4 giorni nella reclusione di una stanza, completamente sola. In quest’occasione Gertrude pensa che abbia bisogno di essere trattata diversamente. Scrive quindi un’altra lettera al padre, questa volta di scuse e di perdono. Si scopre un altro stile di Manzoni: i termini all’inizuio e alla fine del periodo appartengono allo stesso campo semantico.

CAPITOLO 10

Il capitolo si apre con una riflessione del narratore onnisciente: “l’animo dei giovani è come un fiore che sboccia, ha un fragile stelo che, alla prima folata di vento, si spezza”.
Nella lettera di scuse di Gertrude, il padre vede il modo con cui comandare la figlia a fare ciò che vuole lui. Questo si capisce dal fatto che Gertrude si trova sempre a dire sì e, quindi acconsente di ritornare in convento. Il padre cerca in tutti i modi di falsificare la realtà, per far in modo che la figlia segua quello che vuole lui, con delle minacce velate, tipo “devo infierire sulla mia condotta” oppure “avrò una figlia che sarà trattata male per non essere andata in convento”.  Detto questo, Gertrude si trova a dire di nuovo sì, per ben 2 volte: il sì al padre di ritornare al convento e il sì all'esame per essere ammessa al convento.

Mario

domenica 21 dicembre 2014

Appunti del capitolo 9 dei promessi sposi

Il barcaiolo fa approdare all'altra sponda i fuggitivi Renzo, Lucia e Agnese, dove li aspetta un carro che li porterà fino ad un osteria per rifocillarsi.
dopo aver passato lì la notte, le strade dei tre si separano: Renzo si incammina verso milano; mentre Agnese e Lucia si dirigono verso il convento dei cappuccini.
La sequenza narrativa iniziale si sofferma su quello che accade alle due donne.
Entrano in scena due figure provvidenziali, che rappresentano quegli uomini che agiscono per volontà di Dio (operano per il bene) non per un tornaconto personale: il marinaio e il carrocciaio.
Il padre guardiano, amico di Fra Cristoforo, ritiene che l'unica soluzione possibile sia la "signora", una monaca che all'interno del monastero conta molto, che può fare e dire quello che  vuole perché suo padre è un principe.
La descrizione della monaca di Monza (personaggio ispirato ad una storia veramente accaduta, come l'illuminato) inizia esprimendo la bellezza come lo specchio dell'anima, ma anche la perfezione. La sua bellezza viene descritta come una bellezza sbattuta, sfiorita, quasi scomposta. I suoi occhi esprimono stati d'animo diversi, da una parte l'affetto, dall'altra un odio inveterato e compresso (che è lì da tanto tempo e non si può far uscire). Gli occhi fissi e uno sguardo perso nel vuoto che esprimono svogliatezza, mentre le gote pallidissime con un contorno reso mancante da una lenta estenuazione (linea del contorno allentata come fosse estenuata da un tormento che non le dà pace).
Dopo questa descrizione sulla monaca di Monza inizia il colloquio tra quest'ultima, il padre guardiano, Lucia e Agnese. Il padre guardiano parla per conto di Lucia e Agnese, il quale le dice che a Lucia  serve un asilo nel quale possa vivere sconosciuta per sottrarsi da dei gravi pericoli. La monaca vuole sapere cosa succede fuori, ma il padre guardiano gli racconta poco. Ci pensa Agnese ad interrompere il padre e a raccontare la vicenda, ma la monaca non le crede molto, vuole sentire parlare Lucia. Lucia molto intimidita conferma ciò che ha detto la madre e con lei la signora assume un tono più addolcito. Il padre guardiano e Agnese vengono congedati mentre Lucia rimane con la signora.
Prima che la storia riprenda c'è un interruzione narrativa in cui viene raccontata la storia della monaca. Nella nobiltà, ossia nella classe improduttiva, tutto veniva ereditato dal primogenito, mentre i cadetti (secondogeniti) venivano mandati in convento. Il cosiddetto "padre padrone" decideva lui il futuro dei figli secondogeniti. Per questo il destino di Gertrude era già segnato da prima della sua nascita. Non le viene prospettata un'altra vita che non sia quella del chiostro, infatti lei pensa proprio quale possa essere il suo futuro. Le parole del padre fanno presa più di tutte le altre messe assieme. Questo padre uomo è un padre austero, chi sui figli sente il diritto di esercitare il potere decisionale (ombrosa gelosia di comando).
A sei  Gertrude viene collocata in convento per essere educata, ma anche per l'instradamento per la vita futura.

lunedì 15 dicembre 2014

Appunti Capitoli 7-8 Promessi Sposi

Siamo alla sera del 10 novembre. Intorno alla casa di Lucia e Agnese ronza della gente, i bravi mandati da Don Rodrigo che ha ordito il rapimento di Lucia per quella sera, detta "la notte degli imbrogli". A parte ciò, nella città si sente un'atmosfere tranquilla, don Abbondio è a casa sua che legge un libro e per la città tutto è come deve essere. 
Viene spiegato il piano degli sposini e dei complici: Agnese distrae Perpetua parlandole di voci che girano su di lei e pian piano la porta fino in un vicoletto da dove non si può vedere la casa del curato, mentre gli altri, cioè Renzo, Lucia e i testimoni entrano furtivamente nella dimora. Il gruppo entra di corsa nella stanza di don Abbondio, Renzo dice la frase di rito mentre Lucia viene scaltramente bloccata dal curato, che la avvolge nella tovaglia della tavola. Nella stanza del curato succede di tutto: Lucia rimane pietrificata dalla paura, Don Abbondio che cerca di andare alla porta e gli altri che fanno caos. 
Intanto Manzoni ci propone una riflessione (rr. 139-145): una riflessione universale che spiega da differenza tra l'apparenza e il reale: non sempre la realtà è come ci viene mostrata (ad esempio viene messo in risalto che la chiesa, o più precisamente la figura di don Abbondio, crolla e si ridimensiona, per il fatto che "presti" i soldi o dal modo in cui si è rivolto a Tonio). Infatti vuole che il popolo prenda più consapevolezza dei propri oppressori, e vuole dare il suo contributo offrendo "L'interessante" come spunto per riflessioni (è l'unico modo che aveva per aiutare la comunità, dato che soffriva di agorafobia). 
Ritornando alla narrazione, Don Abbondio si affaccia alla finestra per chiedere aiuto, e viene sentito dal sagrestano (r. 155-ss.), un personaggio del tutto secondario e anche "grottesco", il quale, per non immischiarsi in affari che non lo riguardano, suona le campane a martello, segno di emergenza per la comunità, svegliandola interamente. Fortunatamente i bravi, sentito il suono delle campane, scappano e ritornano da Don Rodrigo a mani vuote. Il gruppo viene a sapere dell'intrusione dei bravi grazie a Menico, che di ritorno da Pescarenico passa davanti alla casa di Agnese e Lucia e li vede. 
Il capitolo si chiude con una sequenza, non narrativa o descrittiva, ma "lirica", ricca di pathos, pronunciata da Lucia mentre insieme a Renzo e Agnese scappa in barca. Questa lirica, estrapolata dal contesto in cui giace, è proprio bella, ma inserita nelle parole di Lucia si sente un certo stridore, dato dal fatto che Lucia non userebbe mai un registro linguistico del genere.

mercoledì 19 novembre 2014

Capitoli 5° 6° e parte del 7°



Fra Cristoforo ansioso si reca da Lucia. Arriva nella sua casa e ascolta la vicenda. Arriva anche Renzo. Fra Cristoforo e Renzo hanno dei tratti di carattere simili, perché entrambi mal sopportano i prepotenti.  La differenza dei due è data dall’esperienza della vita, dall’età e dal ruolo che occupano nella società.
Una volta, finito di ascoltare il racconto di Lucia e Agnese Fra Cristoforo prende una soluzione coraggiosa, va direttamente nel palazzo di Don Rodrigo.
La descrizione del palazzo di Don Rodrigo illustra il gusto del tempo. Manzoni in questa sequenza richiama il contesto dell’orrido, del gotico. La descrizione ha una funzione ideologica, perché nell’orrorosità, nella decadenza della abitazione Manzoni richiama anche la decadenza del carattere della morale di chi lo abita. Lo scrittore scrive che l’abitazione è un luogo che fa venire i brividi, incuta terrore. Tutto intorno (l’impatto con le creature morti che sono penzoloni ai lati dell’ingresso) ha la funzione di incutere terrore, quasi a dissuadere. 
Quando Fra Cristoforo ha suonato il campanello è arrivato un vecchio servitore ad aprire la porta. E’ un personaggio secondario, rappresenta un’aiutante e quando apre la porta e vede Fra Cristoforo si meraviglia e pensa che Fra Cristoforo è vento a fare del bene. Anche nella dimora del male, il bene trova suo spazio.
Nel palazzo di Don Rodrigo si sta svolgendo un banchetto al quale è presente anche Don Attilio e il Dottor Azzeccagarbugli. In questo consesso Don Rodrigo e conte Attilio giocano sporco, vogliono mettere in difficoltà Fra Cristoforo, che cerca di mantenere la calma, fanno delle pesanti allusioni al suo passato.  Inizia il dialogo tra i due che si può definire il duello verbale molto acceso. Don Rodrigo si trova a casa sua, un luogo per lui sicuro e quindi può permettersi di rivolgersi a Fra Cristoforo con un tono e con gesti che sono senza rispetto ma con le parole che potrebbero esprimere obbedienza.
Dopo la conversazione Fra Cristoforo se ne va in tempesta, ha fatto riemergere Ludovico, e viene seguito dal servitore che li chiede un appuntamento perché vuole darli delle informazioni importanti.
Nel frattempo a casa di Lucia Agnese non si da per vinta e trova la soluzione del matrimonio per sorpresa. Un matrimonio in cui non è necessario che parroco sia con sapiente, importante che ci siano dei testimoni. Renzo li cerca e nella loro scelta mostra la sua intelligenza, perché sceglie una persona che conosce bene e di cui si può fidare, una persona che può accettare la richiesta perché può trovare un tornaconto personale e che può trovare il secondo testimone. Renzo sceglie Tonio che è il suo amico fidato e che ha un debito con Don Abbondio (che è anche un usuraio). Renzo da dei soldi a Tonio in modo che lui può riscattare la collana della moglie. Tonio si fa accompagnare dal suo fratello Cervaso che fa tutto quello che li dice. In questo modo Renzo e Lucia possono entrare nella casa del curato. 
                                                                                              Kseniya Lyulchak

martedì 18 novembre 2014

Gianluca Lorigliola
                                  Capitolo 4

Il capitolo inizia descrivendo il viso di padre Cristoforo ,frate cappuccino ,in cui si identifica ,soprattutto negli occhi , una vivacità repentina.
Il nome di battesimo di Cristoforo era Ludovico ,figlio di un ricco mercante che aveva rinunciato al traffico per darsi alla vita da signore e che cercava di dimenticarsi il suo passato da mercante ,fece educare il figlio nobilmente e alla sua morte lasciò ricco il figlio. Ludovico aveva un'indole onesta e violenta, prendeva spesso la parte dei più deboli, per proteggersi si teneva attorno un buon numero di bravacci.
Più di una volta gli era saltata l'idea di farsi frate, questa divenne reale dopo un grave incidente. Un giorno si fu uno scontro tra Ludovico e un signorotto ,nato da un diritto di precedenza non rispettato da Ludovico. Lo scontro finisce con la morte del signorotto e di Cristoforo (un accompagnatore di Ludovico) ,Ludovico ,ferito,viene portato in un vicino convento dove viene curato. Qui decide di farsi frate ,prende il nome di Cristoforo in onore del morto e lascia tutti i suoi averi alla famiglia di Cristoforo .
Prima di iniziare la sua nuova vita decise di chiedere perdono al fratello del signorotto ucciso , lo ottenne ma la cerimonia che doveva essere un umiliazione ,si risolse in un trionfo per lui.

martedì 14 ottobre 2014

capitolo 3 promessi sposi

                                                                 CAPITOLO 3

Mentre Renzo stava avvisando Agnese dell'accaduto, arriva Lucia di cui gli altri due personaggi vogliono ascoltare la versione dei fatti. Lucia racconta che pochi giorni prima, mentre era alla filanda con le amiche, sente Don Rodrigo che parla con suo cugino e stipulano una scommessa. La protagonista intuisce che la scommessa riguarda lei cioè Don Rodrigo ha scoomesso che Lucia sarà sua. In seguito rivela di aver raccontato questo fatto in confessione a Fra Cristoforo. Agnese consiglia a Renzo di recarsi dall'avvocato Azzecca-garbugli consegnandogli 4 capponi che, pur trovandosi tutti nella stessa situazione, si beccano tra loro. Da qui nasce l'espressione "fare i capponi di Renzo" cioè litigare invece di coalizzarsi. Renzo, ancora vestito elegante, si reca dall'avvocato, consegna i capponi a una serva ed entra in una stanza con anyichi mobili e ritratti di imperatori romani. Azzecca-garbugli, credendo che Renzo fosse un bravo, legge una grida del 15 ottobre 1627 sulle sanzioni da infliggere ai "tiranni" che opprimono i più deboli. Poichè questa grida era stata scritta da un anno faceva più paura. Azzecca-garbugli aiuta i "birri" e i bravi  ad uscire dai casi più difficili e infatti, ad un certo punto, chiede a Renzo il motivo per cui si è tagliato il ciuffo, così Renzo nega di essere un bravo, ma l'avvocato non gli crede e lo spinge a raccontargli la bravata che ha commesso dicendo che avrebbe trovato una soluzione. In seguito, dopo aver capito che Renzo non era un bravo, l'avvocato lo rimanda a casa con i suoi capponi. Intanto Lucia e Agnese decidono di chiedere aiuto a Fra Cristoforo, ma poichè è notte rimangono a casa. In questo caso la Divina Provvidenza le aiuta e Fra Galdino bussa alla loro porta per la raccolta delle noci così Lucia gliene porta un sacco pieno in modo che il frate torni subito in convento e invii loro fra Cristoforo. Il capitolo si conclude con una discussione riguardo alla faccenda dell avvocato fra Renzo e Agnese che viene placata da Lucia.
La grida che Azzeccagarbugli legge a Renzo è stata realmente emanata, da qui che Manzoni decide di scrivere questo romanzo.

domenica 28 settembre 2014

I Promessi Sposi 2 capitolo


                                         I PROMESSI SPOSI
                                                  Capitolo 2

Il secondo capitolo si apre con un tratto tipico della letteratura Manzoniana: l'ironia.
Don Abbondio deve trovare una scappatoia per non celebrare il matrimonio tra Renzo e Lucia; passa così una nottata angosciante e alla fine decide che la miglior cosa da fare è di “tener buono” per un po' Renzo. Nel 600, durante il periodo che andava dal 12 novembre all'Epifania, non si potevano celebrare matrimoni; mancavano, infatti, pochi giorni al 12 Novembre e il curato pensò bene che, tenendo a bada Renzo, avrebbe avuto due mesi di tempo per trovare una soluzione.
Notiamo la capacità di Manzoni di saper osservare la natura umana; sembra quasi che l'autore mostri un sorriso bonario al personaggio di Don Abbondio che si trova in questa difficile e imbarazzante situazione.
Il giorno seguente Don Abbondio aspetta con ansia e timore l'arrivo di Renzo. Quest'ultimo è un giovanotto intraprendente, semplice, molto intelligente e, infatti, si accorge subito, dalla faccia del curato, che c'è qualcosa che non va. Don Abbondio nei confronti di Renzo si sente in una situazione di predominanza, infatti, come se niente sapesse e come se tutto non fosse già stato organizzato, domanda a Renzo il giorno nel quale dovessero essere celebrate le nozze (rigo 58).
(Rigo 68) Il messaggio arriva a Renzo, ma anche a noi lettori: Renzo pensa che gli impicci siano dovuti a problemi burocratici, mentre noi lettori sappiamo che quegli “impicci” si riferiscono alla minaccia ricevuta dai bravi.
(Rigo 88 “impedimenti dirimenti”): gli impedimenti che non consentono di dirimere la situazione, quindi il matrimonio.
(Rigo 90-91) Don Abbondio adesso usa il latino contro Renzo.
Renzo a questo punto si altera e il curato decide di giocare di scaltrezza addossandosi la responsabilità di tutto e usando parole dolci.
(Rigo 99 “il grillo di maritarvi”): come se il matrimonio fosse un capriccio di Renzo.
A questo punto Renzo non comprende la situazione e chiede al curato cosa deve fare. Don Abbondio dice a Renzo di pazientare per quindici giorni.
Di fronte alla situazione Renzo si pone due domande:
    Cosa raccontare a Lucia?
    Come gestire i pettegolezzi in paese? (“i discorsi del mondo”)
Il curato gli dice di gettare tutte le colpe su di lui. Renzo, uscito, s'incammina verso casa di Lucia e, ripensando al colloquio con Don Abbondio, capisce che questo non era stato del tutto sincero con lui; in quel momento incontra Perpetua. (Rigo 160 “il mio povero Renzo”): è un indizio e lo è anche il fatto che Perpetua durante il dialogo menzioni “i segreti del mio padrone”. (Rigo 168): “povero” indica una condizione sociale di Renzo, non economica.
Perpetua pettegola mostra un tratto comico. Alla fine Perpetua riferisce solo che nella faccenda c'è di mezzo un Prepotente del luogo e non dice altro. Renzo senza farsi vedere dalla donna torna a casa di Don Abbondio e, senza tanto indugiare, chiede al    parroco il nome del Prepotente. Il curato, però, non vuole rispondere e Renzo, alterato, impugna il coltello che tiene in tasca minacciandolo. La volontà di Renzo non è quella di una minaccia di morte, bensì un'azione decisa per spaventarlo. Alla fine Don Abbondio cede e pronuncia il nome di Don Rodrigo. Il povero parroco si sente in credito nei confronti di Renzo e anche questo, che ha un cuore buono, si pente di aver usato un atteggiamento così minaccioso; infatti Renzo ammette di aver sbagliato (“Posso aver fallato”: frase celebre). Renzo, quindi, decide di andare da Lucia. Anche Lucia è una persona semplice, dall'intelligenza schietta; vive con la madre Agnese, amica di Perpetua e anch'ella chiacchierona. Lucia, per allontanare gli invitati in casa, dice loro che il matrimonio non si sarebbe celebrato in quanto il curato si era ammalato. Nel frattempo Don Abbondio si ammala veramente; gli invitati passando davanti a casa sua incontrano Perpetua che comunica la malattia del parroco.

venerdì 26 settembre 2014

LA PREPOSIZIONE O FUNZIONALE SUBORDINANTE


 PREPOSIZIONI PROPRIE

Le preposizioni proprie sono elementi che non hanno un significato proprio, però sono parti fondamentali della frase e servono a collegare due elementi di un periodo, per questo sono anche chiamate funzionali subordinanti. 
Le preposizioni proprie si dividono in semplici e complesse: quelle semplici sono DI, A, DA, IN, CON, SU, PER, TRA o FRA e sono invariabili; quelle complesse sono date dall’unione tra le preposizioni semplici DI, A, DA, IN, SU con gli articoli determinativi IL, LO, LA, L’, I, GLI, LE e assumono un genere (maschile o femminile) e un numero (singolare o plurale). Anche CON si può unire con IL e I creando COL e COI, e così anche PER potrebbe formare le forme dette sincopate PEL e PEI, che però ormai non sono più molto utilizzate. La preposizione SU inoltre è l’unica preposizione propria che ha anche valore di avverbio.

PREPOSIZIONI IMPROPRIE


Le preposizioni improprie possono essere avverbi (dietro,dentro, sopra, sotto,circa, conto, dopo ecc.), aggettivi (lungo, salvo, secondo ecc.) o verbi (sono per lo più participi come durante, mediante, rasente, stante, nonostante, escluso ecc.) che hanno un loro significato proprio e all’interno della frase servono ad appoggiare un altro elemento.

 

LOCUZIONI PREPOSITIVE


Le locuzioni prepositive sono espressioni formate da due o più elementi, ad esempio da un avverbio e da una preposizione propria (sopra a, dietro a, lontano da, vicino a ecc.), da un nome e un verbo preceduti e seguiti da una preposizione semplice (nel mezzo di, a fianco di, in base a, a causa di, in compagnia di ecc.) o da una locuzione avverbiale a cui si aggiunge una preposizione propria (di fronte a, al di là di, in quanto a ecc.), con cui formano un tuttuno e sono usate come preposizioni.

                                                                                                                                      Ilaria Bernardis

mercoledì 24 settembre 2014

Programma: I Promessi Sposi



Manzoni ci illustra cosa siano quasti bravi. Essi sono dei delinquenti comuni, dei gagliotti, che rischiando di essere arrestati si rifugiano sotto la protezione di qualche potente.
Le loro vite agiscono su due strade parallele: una in cui commettono reati per il loro signore (esempio minacce alla gente), l’altra dove compiono i loro reati. Hanno tutta la libertà che vogliono, basta solo obbedire e svolgere ciò che chiede il loro padrone. L’autore ci dice che è un fenomeno molto diffuso in quel tempo, perfino le grida (leggi), sono condizionate dai potenti.

I due bravi presenti all’inzio del racconto sono gli scagnozzi di Don Rodrigo, uomo molto potente in quel luogo. Uno dei due ha l’abilità della parola, con la quale riesce a incutere timore e a farsi beffe di Don Abbondio (dileggio), l’altro invece rappresenta un tipo, appartiene ai bassi margini della società e usa un linguaggio volgare.
Alla fine i due bravi riescono a imporre quello che vogliono sul povero curato, il quale risponde che sarà sempre disposto all’obbedienza verso Don Rodrigo.

Manzoni usa più volte nel racconto l’indugio narrativo, utilizzato per perdere tempo, intanto infatti il personaggio arriva fino alla sua destinazione.

Per Don Abbondio il suo pericolo più grande, in una problematica, è sempre quello più vicino al tempo. Quindi non pensa alle conseguenze, ma affronta il problema più vicino.

Nel testo si nota che il curato definisce il matrimonio come un pasticcio, inoltre ci mostra di leggere i fatti in una chiave utilitaristica. Egli dimostra di non saper cogliere i presupposti affettivi che stanno dietro a un matrimonio, nel momento in cui poi c’è un impiccio, lui ne vuole ricavare qualcosa. Inoltre sta sempre dalla parte del più forte, non difende mai i deboli, in contrapposizione dei suoi colleghi, che rimprovera. Tutto ciò è insolito.
Questa parte è un indizio, ci fa capire qualcosa su Don Abbondio.

L’espressione “non è un cuor di leone”, è una litote, è una metafora e una metonimia. Ci fa capire che il curato è un coniglio, un vile.
 

La perpetua del curato, chiamata proprio Perpetua, è una pettegola, una zitella, voluta da nessun uomo; comunque dà sempre il giusto consiglio, espandendosi però un po’ troppo.


Iacopo Bartoli