Manzoni ci illustra cosa siano quasti bravi. Essi sono dei
delinquenti comuni, dei gagliotti, che rischiando di essere arrestati si
rifugiano sotto la protezione di qualche potente.
Le loro vite agiscono su due strade parallele: una in cui
commettono reati per il loro signore (esempio minacce alla gente), l’altra dove
compiono i loro reati. Hanno tutta la libertà che vogliono, basta solo obbedire
e svolgere ciò che chiede il loro padrone. L’autore ci dice che è un fenomeno
molto diffuso in quel tempo, perfino le grida (leggi), sono condizionate dai
potenti.
I due bravi presenti all’inzio del racconto sono gli scagnozzi
di Don Rodrigo, uomo molto potente in quel luogo. Uno dei due ha l’abilità
della parola, con la quale riesce a incutere timore e a farsi beffe di Don
Abbondio (dileggio), l’altro invece rappresenta un tipo, appartiene ai bassi
margini della società e usa un linguaggio volgare.
Alla fine i due bravi riescono a imporre quello che vogliono
sul povero curato, il quale risponde che sarà sempre disposto all’obbedienza
verso Don Rodrigo.
Manzoni usa più volte nel racconto l’indugio narrativo,
utilizzato per perdere tempo, intanto infatti il personaggio arriva fino alla
sua destinazione.
Per Don Abbondio il suo pericolo più grande, in una
problematica, è sempre quello più vicino al tempo. Quindi non pensa alle
conseguenze, ma affronta il problema più vicino.
Nel testo si nota che il curato definisce il matrimonio come un
pasticcio, inoltre ci mostra di leggere i fatti in una chiave utilitaristica.
Egli dimostra di non saper cogliere i presupposti affettivi che stanno dietro a
un matrimonio, nel momento in cui poi c’è un impiccio, lui ne vuole ricavare
qualcosa. Inoltre sta sempre dalla parte del più forte, non difende mai i
deboli, in contrapposizione dei suoi colleghi, che rimprovera. Tutto ciò è
insolito.
Questa parte è un indizio, ci fa capire qualcosa su Don Abbondio.
L’espressione “non è un cuor di leone”, è una litote, è una
metafora e una metonimia. Ci fa capire che il curato è un coniglio, un vile.
La perpetua del curato, chiamata proprio Perpetua, è una
pettegola, una zitella, voluta da nessun uomo; comunque dà sempre il giusto
consiglio, espandendosi però un po’ troppo.
Iacopo Bartoli
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