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mercoledì 24 settembre 2014

Programma: I Promessi Sposi



Manzoni ci illustra cosa siano quasti bravi. Essi sono dei delinquenti comuni, dei gagliotti, che rischiando di essere arrestati si rifugiano sotto la protezione di qualche potente.
Le loro vite agiscono su due strade parallele: una in cui commettono reati per il loro signore (esempio minacce alla gente), l’altra dove compiono i loro reati. Hanno tutta la libertà che vogliono, basta solo obbedire e svolgere ciò che chiede il loro padrone. L’autore ci dice che è un fenomeno molto diffuso in quel tempo, perfino le grida (leggi), sono condizionate dai potenti.

I due bravi presenti all’inzio del racconto sono gli scagnozzi di Don Rodrigo, uomo molto potente in quel luogo. Uno dei due ha l’abilità della parola, con la quale riesce a incutere timore e a farsi beffe di Don Abbondio (dileggio), l’altro invece rappresenta un tipo, appartiene ai bassi margini della società e usa un linguaggio volgare.
Alla fine i due bravi riescono a imporre quello che vogliono sul povero curato, il quale risponde che sarà sempre disposto all’obbedienza verso Don Rodrigo.

Manzoni usa più volte nel racconto l’indugio narrativo, utilizzato per perdere tempo, intanto infatti il personaggio arriva fino alla sua destinazione.

Per Don Abbondio il suo pericolo più grande, in una problematica, è sempre quello più vicino al tempo. Quindi non pensa alle conseguenze, ma affronta il problema più vicino.

Nel testo si nota che il curato definisce il matrimonio come un pasticcio, inoltre ci mostra di leggere i fatti in una chiave utilitaristica. Egli dimostra di non saper cogliere i presupposti affettivi che stanno dietro a un matrimonio, nel momento in cui poi c’è un impiccio, lui ne vuole ricavare qualcosa. Inoltre sta sempre dalla parte del più forte, non difende mai i deboli, in contrapposizione dei suoi colleghi, che rimprovera. Tutto ciò è insolito.
Questa parte è un indizio, ci fa capire qualcosa su Don Abbondio.

L’espressione “non è un cuor di leone”, è una litote, è una metafora e una metonimia. Ci fa capire che il curato è un coniglio, un vile.
 

La perpetua del curato, chiamata proprio Perpetua, è una pettegola, una zitella, voluta da nessun uomo; comunque dà sempre il giusto consiglio, espandendosi però un po’ troppo.


Iacopo Bartoli

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