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lunedì 30 marzo 2015

Capitoli XVIII – XIX – XX

Il diciassettesimo capitolo si conclude con una spiegazione da parte del cugino di Renzo, Bortolo, sulle dinamiche della vita a Bergamo e sulle usanze dei bergamaschi.
Il capitolo seguente ha la funzione di raccordare i precedenti capitoli con quelli successivi.
I paesani di Lecco nonché Fra Cristoforo, vengono a conoscenza dei fatti riguardanti Renzo e le recenti rivolte in Milano, a causa di un mandato d’arresto nei confronti di quest’ultimo. Quindi la scena torna su Don Rodrigo, contento dell’accaduto e della situazione imbrigliata del giovane sposo, ma combattuto sul da farsi. Don Rodrigo, infatti, aveva scoperto dov’era nascosta Lucia, ma era anche al corrente delle difficoltà che avrebbe incontrato nell’appoggiare il gioco del conte Attilio, dunque si ritrova ad affrontare il suo debole carattere che lo porta ad avere notevoli difficoltà nel prendere decisioni. Decide, allora, di affidarsi ad un signore molto potente.
Nel frattempo Lucia rafforza il suo rapporto con Gertrude mentre Agnese decide di andare in paese alla ricerca di notizie su Renzo e Fra Cristoforo, scoprendo che il frate era stato trasferito a Rimini.
Don Rodrigo, infatti, aveva parlato a suo cugino degli inconvenienti che già più di una volta gli avevano impedito di ottenere ciò che voleva, così il conte Attilio si affida al potente “conte zio” il quale interviene convocando per un pranzo il padre provinciale dei Cappuccini. Questi non difende tanto fra Cristoforo, quanto l’ordine religioso in generale. Arrivano, alla fine, ad un accordo basato su uno scambio: il trasferimento del frate per una cospicua donazione in denaro al convento.  
Per raccordare ancor meglio il tutto, il narratore sposta la scena a Pescarenico dove il padre guardiano riceve la notizia del trasferimento di Fra Cristoforo. Il padre guardiano, però, decide di non comunicare subito la notizia a fra Cristoforo ma aspetta la mattina seguente, in modo da cogliere di sorpresa il frate così che non possa concludere i suoi affari che potrebbero procurare problemi all’intero convento.
Come detto in precedenza, Don Rodrigo decide di chiedere aiuto ad un uomo molto potente, definito da Manzoni attraverso l’uso solo di un attributo: innominato. Di quest’ uomo, l’autore, ci parla della sua tendenza alla violenza sin da giovanissimo; non ci lesina, però, particolari sulla sua violenza. Nonostante ciò, per noi risulta impossibile non cogliere la solitudine e il senso di dipendenza dalla società a cui è sottoposto. L’innominato ha vicino a sé solo persone interessate alla sua posizione sociale, sono lì non come veri amici ma solo per debito o per favori. È solo, perché con le persone che gli sono attorno ha un rapporto utilitaristico, basato principalmente sulla prepotenza.
In questi ultimi capitoli Manzoni ci fa appunto riflettere sulla solitudine dell’uomo e su come l’uomo solo non riesca a far niente. In questa categoria di persone si trova anche Don Rodrigo. Egli, verso i primi di dicembre, si decide a rivolgersi all’innominato e intraprende la strada che lo porterà al castello gotico del signore. I due sono molti diversi per molti aspetti: uno, l’innominato, è robusto fisicamente ed è grande sia nel male ma anche nel bene; l’altro, Don Rodrigo, è solamente un uomo mediocre.
Dopo una breve parte descrittiva del “castellaccio” dell’innominato, Manzoni ci descrive le azioni e i comportamenti di Don Rodrigo; si tratta di una scena che ricorda molto il terzo capitolo, quando Fra Cristoforo fa visita alla dimora del signorotto, ma tutto viene proposto più in grande. Salito in cima al colle dove è situato il castello, finalmente può essere ricevuto. Inizia, quindi, il dialogo tra i due. Don Rodrigo deve salvare il suo onore: non può ritirarsi, così fa sembrare l’impresa più difficile di quanto non lo sia realmente. L’innominato lo ferma subito e accetta senza esitazione l’incarico. Non appena lasciato solo, però, iniziano le tribolazioni del suo animo, si risvegliò dentro di sé un certo fastidio, un rimorso per tutte le azioni che aveva compiuto nella sua vita. Temeva non tanto il dover fronteggiare la morte, quanto il fatto che la morte stessa sarebbe prima o poi arrivata e con lei anche la religione e il suo adempimento.
In questo momento la solitudine ha il soppravvento sull’uomo.
La parte finale del capitolo, invece, ci propone una parte cruciale del romanzo: il rapimento di Lucia.
Egidio, infatti, era al servizio dell’innominato e riesce a convincere la sua amante, Gertrude, ad ingannare Lucia.
Assistiamo, allora, al tradimento e al sacrificio dell’innocente contadina. Uscita dal convento viene rapita da tre bravi che la caricano su una carrozza per portarla presso il castello dell’innominato dove una servitrice cercherà di rendere meno traumatico possibile l’arrivo della giovane.
L’innominato decide di non consegnare subito Lucia a Don Rodrigo teme, infatti, la morte come mai prima di allora e sente dentro di sé il risvegliarsi della voce della coscienza.
 
 
Lorenzo Zanet