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giovedì 16 aprile 2015

CAPITOLI XXI, XXII, XXIII, XXIV

CAPITOLO XXI

Il capitolo XXI è un capitolo fondamentale, di snodo sia per l'azione romanzesca sia per i temi trattati.
Per Lucia, la quale è nel palazzo dell'innominato, sembra che le cose stiano precipitando, ma colui il quale la tiene rinchiusa non è più quello di una volta: la Provvidenza Divina ha mandato nella casa di quest'uomo la persona che con le sue semplici parole, però provenienti dal cuore, è in grado di far emergere in lui il senso del disgusto verso la vita che aveva vissuto. Lucia vuole che dall'uomo vecchio nasca un uomo nuovo.
Con il rapimento di Lucia, quindi, la spannung (momento di max tensione) è stata raggiunta e la storia sembra stia per concludersi, ma improvvisamente accade qualcosa che le fa prendere un'altra strada.
Il messaggio che l'autore vuole mandare è quello della forza e del peso che la Provvidenza Divina ha sulla vita e sulle vicende umane. Secondo Manzoni, la vita è fatta di sofferenze, ma la grandezza di uomo sta nella capacità che esso ha di saper soffrire ( “Soffri e sii grande”: frase della tragedia scritta da Manzoni, intitolata “Adelchi”).
Dai pensieri e dalle parole dell'innominato, comprendiamo che si è già pentito di aver rapito Lucia, così decide di andare a farle visita nella sua stanza, in seguito, però ad un dialogo con il suo fedele bravo, il Nibbio. In questo colloquio si parla di compassione, della compassione che Lucia ha fatto al bravo, il quale la definisce 'come la paura' e i pensieri dell'innominato sono ancora quelli dell'uomo vecchio, infatti dice di non voler in casa Lucia. Così pensa di chiamare Don Rodrigo perché la venga a prendere, ma interviene quella 'voce segreta' che lo blocca.
L'innominato va da Lucia, la quale è rannicchiata in un angolo e le ordina più volte di alzarsi, rassicurandola che le avrebbe fatto del bene, ma senza alcun risultato. La protagonista dice all'uomo di aver patito le pene dell'inferno, intendendo tutte le vicende travagliate riguardanti il suo matrimonio con Renzo. L'uomo, però, capisce che lei abbia subito del male fisico, non del cuore. A questo punto la spannung comincia a sciogliersi, proprio grazie alle parole della giovine, la quale afferma che “Dio perdona tante cose per un'opera di misericordia” e chiederà all'innominato di accompagnarla in chiesa e che Dio avrebbe contato i suoi passi. Manzoni fa passare l'uomo molto, troppo repentinamente da uomo del male a uomo del bene perché necessita di trasmettere il suo messaggio, cioè che anche se una persona è insicura, ha in se, nel proprio cuore, quel senso di sicurezza, di certezza che è data dalla profonda fede in Dio e nella Vergine Madre. Manzoni affermando ciò, si riferisce a Lucia, la quale vede nell'innominato il suo cambiamento, il suo buon cuore.
L'innominato se ne va dalla stanza e per entrambi comincia una notte piena di tormenti.
Lucia passa una notte tormentata e tormentosa: ha paura, nostalgia per la madre, per Renzo ed è preoccupata. In questa condizione di dormiveglia cresce in lei l'angoscia, ma sa che per resistere ha la preghiera. Così pensa che se avesse fatto un'offerta, la sua orazione sarebbe stata più accettata: decide di fare un voto di castità, scegliendo di rinunciare a Renzo e restare vergine per sempre. Alla fine del romanzo si vedrà che il voto verrà cancellato perchè fatto in preda alla disperazione.
Contemporaneamente nella stanza dell'innominato ci si interroga su come mai Lucia abbia suscitato tanta compassione e si pente di essere stato a farle visita. Poi, però, si rende conto che non può essere stata la sola giovine a suscitare tutti quei sentimenti in lui: le parole di lei infatti, sono dettate dalla Provvidenza. Così prova a cercare un senso nella sua vita passata, e non trovandolo, cerca qualcos'altro, ma non riesce. Allora distoglie il pensiero da Lucia, la quale è richiusa da lui e il bene/male di questa persona non dipende dalla sua volontà.
L'innominato decide di liberare la protagonista, ponendosi l'interrogativo “Chi è Don Rodrigo?”. Quest'ultimo non è solo quel mediocre che conosciamo, quello che scommette con il cugino, quella nullità, ma non è nemmeno un 'amico'.
Ripensando all'incontro che aveva avuto con lui, si accorge che non solo Don Rodrigo non era riuscito a trovare delle scuse, ma non aveva nemmeno trovato ed esposto un motivo. Nel mezzo di tutti i turbamenti, l'innominato elabora anche un pensiero suicida che però cancella subito. Ad un tratto sente il suono delle campane a festa e vede dalla sua finestra, un gruppo di persone che si dirigono verso la chiesa: in paese si aspetta la visita del Cardinale Federigo Borromeo.

CAPITOLO XXII- XXIII

L'innominato prende la decisione di andare a vedere il cardinale, suscitata dalla voce della coscienza.
Nel capitolo XXIII l'equilibrio si ricostituisce e torna in scena Don Abbondio, il quale non è cambiato, è sempre lo stesso.
Nel frattempo l'innominato è arrivato in parrocchia, dove ci sono tutti i parroci delle vicinanze e chiede, per una sua smania, all'assistente di Borromeo, di poter essere ricevuto dal cardinale. L'assistente ci viene presentato come un uomo ottuso, che prende seriamente il suo lavoro, ma che non capisce fino a dove arriva questo. Così va dal cardinale ad avvisarlo, però cerca di dissuaderlo, però Borromeo è felicissimo che l'innominato abbia chiesto una visita. Così i due si incontrano, ma si rivela un momento molto difficile per entrambi, i quali, inizialmente, restano in silenzio, avendo paura di parlare perché se avessero detto qualcosa di sbagliato, avrebbero potuto compromettere tutto. Sarà il cardinale a rompere il silenzio e dimostrerà all'innominato che comunque si può sbagliare: l'errore compiuto da Borromeo è quello di aver aspettato la richiesta di un incontro dall'altro, invece di andare lui stesso a chiederlo. Quindi il cardinale sostiene che non ci si deve vergognare dei propri errori, ma si deve essere in grado di ammetterli.
L'innominato presenta il suo problema a Borromeo, il quale fa chiamare il parroco del paese di Lucia, Don Abbondio, perché aveva capito che la giovine aveva bisogno di vedere volti famigliari, e gli affida dei compiti fondamentali: lo mandano, cioè, assieme all'innominato al suo castello.
Contemporaneamente il cardinale cerca qualche donna che andasse a prendere Lucia per riportarla a casa e che la assistesse durante il viaggio.
Però c'è il bisogno di avvisare Agnese di tutto ciò, così Don Abbondio, che ha una paura terribile di andare dall'innominato, dice una bugia.
A questo punto il capitolo ci propone un soliloquio che il prete elabora durante il viaggio al catello, dove il quadro della sua personalità si chiude quasi completamente ( il soliloquio continuerà in piccolo parte nel capitolo successivo ) e nel quale l'immagine iniziale di “scansare i ciottoli lungo il sentiero” è sempre presente. Nel soliloquio Don Abbondio pone sullo stesso piano Borromeo, l'innominato e Don Rodrigo: per lui santi e birboni sono la stessa cosa, infatti tutti non amano il quieto vivere (amato invece dal lui) e vanno a disturbare quelli che vivono quietamente, ad esempio lui. Inoltre critica anche la povera Perpetua.
Durante il viaggio il prete è circondato dai bravi dell'innominato, che li definisce senza scrupolo e misericordia, perché ha paura di loro. Infatti dice: “Li avessi maritati! Non mi poteva capitare di peggio!”.
All'andata Don Abbondio, immerso nei suoi pensieri, non si accorge che la mula aveva una caratteristica particolare, cioè quella di camminare verso lo strapiombo e non verso il dorso della montagna. Si accorgerà di ciò solo al ritorno, quando è più tranquillo, ma questo piccolo dettaglio per lui diventerà uno strapiombo.

CAPITOLO XXIV

Per Don Abbondio, il quale affiderà ad Agnese le chiacchiere di tutto l'avvenimento, il problema è Don Rodrigo. Riflessioni molto tristi vengono messe in bocca al prete, ed esempio dice che chi fa del bene lo fa all'ingrosso, ma chi fa del male, non si ferma, cioè l'azione benevola termina ad un certo punto, ma quella maligna va fino in fondo.
Nel frattempo, arriva al paese, assieme a Lucia e Don Abbondio fa i complimenti all'innominato, al quale dice di porgere le sue scuse al cardinale: il prete è talmente indispettito che se ne va senza nemmeno salutare personalmente Borromeo.

Zanini Dalila


lunedì 30 marzo 2015

Capitoli XVIII – XIX – XX

Il diciassettesimo capitolo si conclude con una spiegazione da parte del cugino di Renzo, Bortolo, sulle dinamiche della vita a Bergamo e sulle usanze dei bergamaschi.
Il capitolo seguente ha la funzione di raccordare i precedenti capitoli con quelli successivi.
I paesani di Lecco nonché Fra Cristoforo, vengono a conoscenza dei fatti riguardanti Renzo e le recenti rivolte in Milano, a causa di un mandato d’arresto nei confronti di quest’ultimo. Quindi la scena torna su Don Rodrigo, contento dell’accaduto e della situazione imbrigliata del giovane sposo, ma combattuto sul da farsi. Don Rodrigo, infatti, aveva scoperto dov’era nascosta Lucia, ma era anche al corrente delle difficoltà che avrebbe incontrato nell’appoggiare il gioco del conte Attilio, dunque si ritrova ad affrontare il suo debole carattere che lo porta ad avere notevoli difficoltà nel prendere decisioni. Decide, allora, di affidarsi ad un signore molto potente.
Nel frattempo Lucia rafforza il suo rapporto con Gertrude mentre Agnese decide di andare in paese alla ricerca di notizie su Renzo e Fra Cristoforo, scoprendo che il frate era stato trasferito a Rimini.
Don Rodrigo, infatti, aveva parlato a suo cugino degli inconvenienti che già più di una volta gli avevano impedito di ottenere ciò che voleva, così il conte Attilio si affida al potente “conte zio” il quale interviene convocando per un pranzo il padre provinciale dei Cappuccini. Questi non difende tanto fra Cristoforo, quanto l’ordine religioso in generale. Arrivano, alla fine, ad un accordo basato su uno scambio: il trasferimento del frate per una cospicua donazione in denaro al convento.  
Per raccordare ancor meglio il tutto, il narratore sposta la scena a Pescarenico dove il padre guardiano riceve la notizia del trasferimento di Fra Cristoforo. Il padre guardiano, però, decide di non comunicare subito la notizia a fra Cristoforo ma aspetta la mattina seguente, in modo da cogliere di sorpresa il frate così che non possa concludere i suoi affari che potrebbero procurare problemi all’intero convento.
Come detto in precedenza, Don Rodrigo decide di chiedere aiuto ad un uomo molto potente, definito da Manzoni attraverso l’uso solo di un attributo: innominato. Di quest’ uomo, l’autore, ci parla della sua tendenza alla violenza sin da giovanissimo; non ci lesina, però, particolari sulla sua violenza. Nonostante ciò, per noi risulta impossibile non cogliere la solitudine e il senso di dipendenza dalla società a cui è sottoposto. L’innominato ha vicino a sé solo persone interessate alla sua posizione sociale, sono lì non come veri amici ma solo per debito o per favori. È solo, perché con le persone che gli sono attorno ha un rapporto utilitaristico, basato principalmente sulla prepotenza.
In questi ultimi capitoli Manzoni ci fa appunto riflettere sulla solitudine dell’uomo e su come l’uomo solo non riesca a far niente. In questa categoria di persone si trova anche Don Rodrigo. Egli, verso i primi di dicembre, si decide a rivolgersi all’innominato e intraprende la strada che lo porterà al castello gotico del signore. I due sono molti diversi per molti aspetti: uno, l’innominato, è robusto fisicamente ed è grande sia nel male ma anche nel bene; l’altro, Don Rodrigo, è solamente un uomo mediocre.
Dopo una breve parte descrittiva del “castellaccio” dell’innominato, Manzoni ci descrive le azioni e i comportamenti di Don Rodrigo; si tratta di una scena che ricorda molto il terzo capitolo, quando Fra Cristoforo fa visita alla dimora del signorotto, ma tutto viene proposto più in grande. Salito in cima al colle dove è situato il castello, finalmente può essere ricevuto. Inizia, quindi, il dialogo tra i due. Don Rodrigo deve salvare il suo onore: non può ritirarsi, così fa sembrare l’impresa più difficile di quanto non lo sia realmente. L’innominato lo ferma subito e accetta senza esitazione l’incarico. Non appena lasciato solo, però, iniziano le tribolazioni del suo animo, si risvegliò dentro di sé un certo fastidio, un rimorso per tutte le azioni che aveva compiuto nella sua vita. Temeva non tanto il dover fronteggiare la morte, quanto il fatto che la morte stessa sarebbe prima o poi arrivata e con lei anche la religione e il suo adempimento.
In questo momento la solitudine ha il soppravvento sull’uomo.
La parte finale del capitolo, invece, ci propone una parte cruciale del romanzo: il rapimento di Lucia.
Egidio, infatti, era al servizio dell’innominato e riesce a convincere la sua amante, Gertrude, ad ingannare Lucia.
Assistiamo, allora, al tradimento e al sacrificio dell’innocente contadina. Uscita dal convento viene rapita da tre bravi che la caricano su una carrozza per portarla presso il castello dell’innominato dove una servitrice cercherà di rendere meno traumatico possibile l’arrivo della giovane.
L’innominato decide di non consegnare subito Lucia a Don Rodrigo teme, infatti, la morte come mai prima di allora e sente dentro di sé il risvegliarsi della voce della coscienza.
 
 
Lorenzo Zanet

martedì 3 febbraio 2015

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Salve ragazzi e ragazze, vi invio l'indirizzo di cui vi parlavo oggi: www.memoriaeimpegno.it

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