I PROMESSI SPOSI
Capitolo 2
Il secondo capitolo si apre con un tratto
tipico della letteratura Manzoniana: l'ironia.
Don Abbondio deve trovare una scappatoia
per non celebrare il matrimonio tra Renzo e Lucia; passa così una nottata
angosciante e alla fine decide che la miglior cosa da fare è di “tener buono”
per un po' Renzo. Nel 600, durante il periodo che andava dal 12 novembre
all'Epifania, non si potevano celebrare matrimoni; mancavano, infatti, pochi
giorni al 12 Novembre e il curato pensò bene che, tenendo a bada Renzo, avrebbe
avuto due mesi di tempo per trovare una soluzione.
Notiamo la capacità di Manzoni di saper
osservare la natura umana; sembra quasi che l'autore mostri un sorriso bonario
al personaggio di Don Abbondio che si trova in questa difficile e imbarazzante
situazione.
Il giorno seguente Don Abbondio aspetta con
ansia e timore l'arrivo di Renzo. Quest'ultimo è un giovanotto intraprendente,
semplice, molto intelligente e, infatti, si accorge subito, dalla faccia del
curato, che c'è qualcosa che non va. Don Abbondio nei confronti di Renzo si
sente in una situazione di predominanza, infatti, come se niente sapesse e come
se tutto non fosse già stato organizzato, domanda a Renzo il giorno nel quale
dovessero essere celebrate le nozze (rigo 58).
(Rigo 68) Il messaggio arriva a Renzo, ma
anche a noi lettori: Renzo pensa che gli impicci siano dovuti a problemi
burocratici, mentre noi lettori sappiamo che quegli “impicci” si riferiscono
alla minaccia ricevuta dai bravi.
(Rigo 88 “impedimenti dirimenti”): gli
impedimenti che non consentono di dirimere la situazione, quindi il matrimonio.
(Rigo 90-91) Don Abbondio adesso usa il
latino contro Renzo.
Renzo a questo punto si altera e il curato
decide di giocare di scaltrezza addossandosi la responsabilità di tutto e
usando parole dolci.
(Rigo 99 “il grillo di maritarvi”): come se
il matrimonio fosse un capriccio di Renzo.
A questo punto Renzo non comprende la
situazione e chiede al curato cosa deve fare. Don Abbondio dice a Renzo di
pazientare per quindici giorni.
Di fronte alla situazione Renzo si pone due
domande:
–
Cosa
raccontare a Lucia?
–
Come
gestire i pettegolezzi in paese? (“i discorsi del mondo”)
Il curato gli dice di gettare tutte le
colpe su di lui. Renzo, uscito, s'incammina verso casa di Lucia e, ripensando al
colloquio con Don Abbondio, capisce che questo non era stato del tutto sincero
con lui; in quel momento incontra Perpetua. (Rigo 160 “il mio povero Renzo”): è
un indizio e lo è anche il fatto che Perpetua durante il dialogo menzioni “i
segreti del mio padrone”. (Rigo 168): “povero” indica una condizione sociale di
Renzo, non economica.
Perpetua pettegola mostra un tratto comico.
Alla fine Perpetua riferisce solo che nella faccenda c'è di mezzo un Prepotente
del luogo e non dice altro. Renzo senza farsi vedere dalla donna torna a casa
di Don Abbondio e, senza tanto indugiare, chiede al parroco il nome del Prepotente. Il curato,
però, non vuole rispondere e Renzo, alterato, impugna il coltello che tiene in
tasca minacciandolo. La volontà di Renzo non è quella di una minaccia di morte,
bensì un'azione decisa per spaventarlo. Alla fine Don Abbondio cede e pronuncia
il nome di Don Rodrigo. Il povero parroco si sente in credito nei confronti di
Renzo e anche questo, che ha un cuore buono, si pente di aver usato un
atteggiamento così minaccioso; infatti Renzo ammette di aver sbagliato (“Posso
aver fallato”: frase celebre). Renzo, quindi, decide di andare da Lucia. Anche
Lucia è una persona semplice, dall'intelligenza schietta; vive con la madre
Agnese, amica di Perpetua e anch'ella chiacchierona. Lucia, per allontanare gli
invitati in casa, dice loro che il matrimonio non si sarebbe celebrato in
quanto il curato si era ammalato. Nel frattempo Don Abbondio si ammala
veramente; gli invitati passando davanti a casa sua incontrano Perpetua che
comunica la malattia del parroco.