CAPITOLO
XXI
Il
capitolo XXI è un capitolo fondamentale, di snodo sia per l'azione
romanzesca sia per i temi trattati.
Per
Lucia, la quale è nel palazzo dell'innominato, sembra che le cose
stiano precipitando, ma colui il quale la tiene rinchiusa non è più
quello di una volta: la Provvidenza Divina ha mandato nella casa di
quest'uomo la persona che con le sue semplici parole, però
provenienti dal cuore, è in grado di far emergere in lui il senso
del disgusto verso la vita che aveva vissuto. Lucia vuole che
dall'uomo vecchio nasca un uomo nuovo.
Con
il rapimento di Lucia, quindi, la spannung (momento di max tensione)
è stata raggiunta e la storia sembra stia per concludersi, ma
improvvisamente accade qualcosa che le fa prendere un'altra strada.
Il
messaggio che l'autore vuole mandare è quello della forza e del peso
che la Provvidenza Divina ha sulla vita e sulle vicende umane.
Secondo Manzoni, la vita è fatta di sofferenze, ma la grandezza di
uomo sta nella capacità che esso ha di saper soffrire ( “Soffri e
sii grande”: frase della tragedia scritta da Manzoni, intitolata
“Adelchi”).
Dai
pensieri e dalle parole dell'innominato, comprendiamo che si è già
pentito di aver rapito Lucia, così decide di andare a farle visita
nella sua stanza, in seguito, però ad un dialogo con il suo fedele
bravo, il Nibbio. In questo colloquio si parla di compassione, della
compassione che Lucia ha fatto al bravo, il quale la definisce 'come
la paura' e i pensieri dell'innominato sono ancora quelli dell'uomo
vecchio, infatti dice di non voler in casa Lucia. Così pensa di
chiamare Don Rodrigo perché la venga a prendere, ma interviene
quella 'voce segreta' che lo blocca.
L'innominato
va da Lucia, la quale è rannicchiata in un angolo e le ordina più
volte di alzarsi, rassicurandola che le avrebbe fatto del bene, ma
senza alcun risultato. La protagonista dice all'uomo di aver patito
le pene dell'inferno, intendendo tutte le vicende travagliate
riguardanti il suo matrimonio con Renzo. L'uomo, però, capisce che
lei abbia subito del male fisico, non del cuore. A questo punto la
spannung comincia a sciogliersi, proprio grazie alle parole della
giovine, la quale afferma che “Dio perdona tante cose per un'opera
di misericordia” e chiederà all'innominato di accompagnarla in
chiesa e che Dio avrebbe contato i suoi passi. Manzoni fa passare
l'uomo molto, troppo repentinamente da uomo del male a uomo del bene
perché necessita di trasmettere il suo messaggio, cioè che anche se
una persona è insicura, ha in se, nel proprio cuore, quel senso di
sicurezza, di certezza che è data dalla profonda fede in Dio e nella
Vergine Madre. Manzoni affermando ciò, si riferisce a Lucia, la
quale vede nell'innominato il suo cambiamento, il suo buon cuore.
L'innominato
se ne va dalla stanza e per entrambi comincia una notte piena di
tormenti.
Lucia
passa una notte tormentata e tormentosa: ha paura, nostalgia per la
madre, per Renzo ed è preoccupata. In questa condizione di
dormiveglia cresce in lei l'angoscia, ma sa che per resistere ha la
preghiera. Così pensa che se avesse fatto un'offerta, la sua
orazione sarebbe stata più accettata: decide di fare un voto di
castità, scegliendo di rinunciare a Renzo e restare vergine per
sempre. Alla fine del romanzo si vedrà che il voto verrà cancellato
perchè fatto in preda alla disperazione.
Contemporaneamente
nella stanza dell'innominato ci si interroga su come mai Lucia abbia
suscitato tanta compassione e si pente di essere stato a farle
visita. Poi, però, si rende conto che non può essere stata la sola
giovine a suscitare tutti quei sentimenti in lui: le parole di lei
infatti, sono dettate dalla Provvidenza. Così prova a cercare un
senso nella sua vita passata, e non trovandolo, cerca qualcos'altro,
ma non riesce. Allora distoglie il pensiero da Lucia, la quale è
richiusa da lui e il bene/male di questa persona non dipende dalla
sua volontà.
L'innominato
decide di liberare la protagonista, ponendosi l'interrogativo “Chi
è Don Rodrigo?”. Quest'ultimo non è solo quel mediocre che
conosciamo, quello che scommette con il cugino, quella nullità, ma
non è nemmeno un 'amico'.
Ripensando
all'incontro che aveva avuto con lui, si accorge che non solo Don
Rodrigo non era riuscito a trovare delle scuse, ma non aveva nemmeno
trovato ed esposto un motivo. Nel mezzo di tutti i turbamenti,
l'innominato elabora anche un pensiero suicida che però cancella
subito. Ad un tratto sente il suono delle campane a festa e vede
dalla sua finestra, un gruppo di persone che si dirigono verso la
chiesa: in paese si aspetta la visita del Cardinale Federigo
Borromeo.
CAPITOLO
XXII- XXIII
L'innominato
prende la decisione di andare a vedere il cardinale, suscitata dalla
voce della coscienza.
Nel
capitolo XXIII l'equilibrio si ricostituisce e torna in scena Don
Abbondio, il quale non è cambiato, è sempre lo stesso.
Nel
frattempo l'innominato è arrivato in parrocchia, dove ci sono tutti
i parroci delle vicinanze e chiede, per una sua smania,
all'assistente di Borromeo, di poter essere ricevuto dal cardinale.
L'assistente ci viene presentato come un uomo ottuso, che prende
seriamente il suo lavoro, ma che non capisce fino a dove arriva
questo. Così va dal cardinale ad avvisarlo, però cerca di
dissuaderlo, però Borromeo è felicissimo che l'innominato abbia
chiesto una visita. Così i due si incontrano, ma si rivela un
momento molto difficile per entrambi, i quali, inizialmente, restano
in silenzio, avendo paura di parlare perché se avessero detto
qualcosa di sbagliato, avrebbero potuto compromettere tutto. Sarà il
cardinale a rompere il silenzio e dimostrerà all'innominato che
comunque si può sbagliare: l'errore compiuto da Borromeo è quello
di aver aspettato la richiesta di un incontro dall'altro, invece di
andare lui stesso a chiederlo. Quindi il cardinale sostiene che non
ci si deve vergognare dei propri errori, ma si deve essere in grado
di ammetterli.
L'innominato
presenta il suo problema a Borromeo, il quale fa chiamare il parroco
del paese di Lucia, Don Abbondio, perché aveva capito che la giovine
aveva bisogno di vedere volti famigliari, e gli affida dei compiti
fondamentali: lo mandano, cioè, assieme all'innominato al suo
castello.
Contemporaneamente
il cardinale cerca qualche donna che andasse a prendere Lucia per
riportarla a casa e che la assistesse durante il viaggio.
Però
c'è il bisogno di avvisare Agnese di tutto ciò, così Don Abbondio,
che ha una paura terribile di andare dall'innominato, dice una bugia.
A
questo punto il capitolo ci propone un soliloquio che il prete
elabora durante il viaggio al catello, dove il quadro della sua
personalità si chiude quasi completamente ( il soliloquio continuerà
in piccolo parte nel capitolo successivo ) e nel quale l'immagine
iniziale di “scansare i ciottoli lungo il sentiero” è sempre
presente. Nel soliloquio Don Abbondio pone sullo stesso piano
Borromeo, l'innominato e Don Rodrigo: per lui santi e birboni sono la
stessa cosa, infatti tutti non amano il quieto vivere (amato invece
dal lui) e vanno a disturbare quelli che vivono quietamente, ad
esempio lui. Inoltre critica anche la povera Perpetua.
Durante
il viaggio il prete è circondato dai bravi dell'innominato, che li
definisce senza scrupolo e misericordia, perché ha paura di loro.
Infatti dice: “Li avessi maritati! Non mi poteva capitare di
peggio!”.
All'andata
Don Abbondio, immerso nei suoi pensieri, non si accorge che la mula
aveva una caratteristica particolare, cioè quella di camminare verso
lo strapiombo e non verso il dorso della montagna. Si accorgerà di
ciò solo al ritorno, quando è più tranquillo, ma questo piccolo
dettaglio per lui diventerà uno strapiombo.
CAPITOLO
XXIV
Per
Don Abbondio, il quale affiderà ad Agnese le chiacchiere di tutto
l'avvenimento, il problema è Don Rodrigo. Riflessioni molto tristi
vengono messe in bocca al prete, ed esempio dice che chi fa del bene
lo fa all'ingrosso, ma chi fa del male, non si ferma, cioè l'azione
benevola termina ad un certo punto, ma quella maligna va fino in
fondo.
Nel
frattempo, arriva al paese, assieme a Lucia e Don Abbondio fa i
complimenti all'innominato, al quale dice di porgere le sue scuse al
cardinale: il prete è talmente indispettito che se ne va senza
nemmeno salutare personalmente Borromeo.
Zanini Dalila